La prima volta che ho fatto l’amore

La prima volta che ho fatto l’amore lei si chiamava Carmela.
Aveva sedici o diciassette anni, le gambe ricoperte di peli, peli congiungevano le due sopracciglia, peli sulle braccia, dietro le orecchie. Denti di marmo bianco, occhi neri scintillanti. Liscia, soda, d'acciaio, un seno di cuoio. Com'era bella Carmela. Stavo ore a osservarla, a mangiarmela con gli occhi, a immaginarne la sua nudità, la sua intimità. Lavava, stendeva, strofinava, lucidava, spolverava, spazzava: faceva tutto con foga, con impeto. E sotto il grembiule la sua carne vibrava indecente. L'aiutavo ad asciugare i piatti e l'annusavo. Non era l'odore di mia madre o di mia nonna. Era una donna. Cercavo di scoprirne il mistero con lo sguardo dovunque vedessi uno spiraglio, un bottone aperto, una piega del vestito. A volte, non potendo più trattenermi, le davo uno schiaffo forte sulle natiche. Mi sembrava di colpire un cavallo. Scappavo, temendo una sua reazione. Ma Carmela era cresciuta nell'obbedienza. “Signorino, smettetela!”, osava solo dirmi, a volte, quando mi mettevo a testa in giù per vederle le cosce.
Il mondo di Carmela era per me un mistero infinito. Volevo vederla fare la cacca, pettinarsi, vestirsi. A volte, dal bagno, usciva del fumo e da un discorso di mia madre con la nonna scoprii che ballava su fogli di giornale accesi per depilarsi. Tremavo di emozione quando vedevo uscire quel fumo, quando le vedevo le caviglie, i polpacci rossi, bruciati. Carmela, amore mio, silenziosa, energica, agile come un capriolo, forte come un soldato. Ne ero sicuramente innamorato. E cercavo di capire se in qualche modo ero ricambiato. Ma non era possibile, in nessun modo. Dietro quei suoi occhi neri c'era solo un luccichio, impenetrabile. Non riuscivo a fare nient'altro che guardarla. Ero pazzo di lei.
La seguivo, la spiavo, la divoravo con gli occhi. Guardavo guardavo e poi chiudevo gli occhi per vedere con l'immaginazione il resto. Le guardavo una caviglia e chiudevo gli occhi per immaginarne il ginocchio, le cosce, l'inguine, la piega delle natiche. Al suo sesso neanche osavo pensare. Non sapevo neanche cosa fosse esattamente. Avevo undici anni e mio padre non mi aveva spiegato niente. Dalle barzellette a scuola capivo poco. Immaginavo solo qualcosa di grande, profondo, pericoloso ma non riuscivo a immaginare cosa. E un po’ forse ne avevo anche paura. Preferivo pensare all'ombelico di Carmela, che mi dava comunque una strana forte eccitazione. Un giorno decisi che Carmela doveva essere mia. Doveva cioè stare fra le mie braccia e io dovevo poterla toccare dappertutto, annusarla dappertutto, scoprirla dappertutto. Non potevo più aspettare, non resistevo più. Decisi di farlo di notte. E così accadde.

Quasi la prima volta

Era estate. Tutti apparentemente dormivano. Ma io aspettavo la pipì di mia nonna. Gli occhi spalancati, tremando, aspettavo. E mia nonna, come ogni notte, a un certo punto si svegliò, si alzò e, sollevandosi la lunga camicia, fece in piedi nel pitale la sua pipì. Era il segnale. Dopo quella pipì mia nonna avrebbe dormito profondamente fino al mattino dopo. E così mio nonno, e forse tutta la città. Era il segnale. Non dovevo più immaginare niente, tutto ora sarebbe diventato realtà. Fu quello l’inizio della più emozionante avventura sessuale della mia vita.
Mi alzai, lentamente, a piedi nudi, uscii dalla stanza e attraversai il lungo corridoio che mi portava alla cucina e alla camera in cui dormiva Carmela. Ero assolutamente deciso, come chi va a un appuntamento sapendo di essere atteso. E gradito. Ero convinto che Carmela non mi avrebbe cacciato via. Ai miei sguardi disperati mi sembrava che lei rispondesse con uguale disperazione. Carmela dormiva in una stanza di passaggio che dalla sala consentiva l'accesso alla cucina e al bagno. La porta era chiusa. Mi fermai, stetti a origliare, ma tutta la casa respirava regolarmente in un sonno profondo. Afferrai piano la maniglia della porta e lentamente la spinsi verso il basso per aprire. Naturalmente porta e maniglia cominciarono a miagolare, ma mi muovevo così lentamente che era impossibile per chiunque sentirmi. Carmela, quando la porta fu aperta quel tanto che mi consentisse di entrare, si mosse nel letto, cambiò posizione. Era ricoperta da un lenzuolo. Il cuore mi batteva all’impazzata adesso. Ero a un metro dal corpo forse nudo di Carmela. Ne sentivo il calore, l’odore. Ero sconvolto, sentivo che stava per succedermi qualcosa ma non capivo cosa fosse tutto quel subbuglio dentro di me. Mi chinai su di lei, mi inginocchiai al lato del letto. E rimasi immobile cercando di vedere nel buio quello che tempestava la mia immaginazione. Decisi di chiamarla. Carmela... Carmela... Si mosse sotto le lenzuola senza emettere un suono. Decisi di toccarle un seno. Lentamente tesi la mano verso il suo petto. Dolcemente vi atterrai. Entrambe le mie mani sul suo seno, senza stringere, immobili, per non so quanto tempo. Il cuore impazzito, Carmela immobile, Napoli, la mia città, complice, addormentata con mia nonna e i miei zii. Lasciai i seni. Mi spostai un po’ più giù, all’altezza del suo ombelico. Dovevo vedere adesso che cosa nascondeva la pancia di una donna, com’era fatta la pancia di Carmela. Dovevo. Non potevo più vivere senza scoprire questo mistero. Impazzivo dal desiderio di compiere questa scoperta. Sollevai lentamente la camicia da notte. Ecco, intravedevo al buio finalmente le sue gambe. Il cuore in gola, la bocca asciutta, tremando riuscii a sollevare la camicia fino all'ombelico. Non vedevo niente. Carmela era così pelosa e i suoi peli erano così neri che dall'ombelico in giù non vedevo niente. Eppure mi piaceva terribilmente. Dovevo vedere di più, dovevo scoprire il suo segreto. Tesi una mano verso il suo ventre. Carezzai il foltissimo pelo. Non sentii nient’altro sotto la mia mano che peli. Provai a salire e poi a scendere con le dita più giù, ma non trovai nulla. Quello che sapevo, appreso dai disegni sulle pareti dei cessi pubblici, era che le donne, differentemente da noi uomini, non hanno niente che gli spunta dalla pancia, hanno solo un buco, e da lì fanno pipì. Cominciavo a pensare che era solo una porcheria, una delle tante che si dicono fra ragazzi. Con il dito indice cominciai a premere nel pelo, partendo da sotto l’ombelico, alla ricerca di questo buco. Pigiavo con la punta dell’indice aspettandomi da un momento all’altro di sprofondare in questo buco, ma non c’era proprio niente. Andavo con la punta dell’indice tutto intorno all’ombelico ma non trovai proprio niente, da nessuna parte. Ero deluso. Così Carmela non mi sembrava più un grande mistero. Cominciai a sbadigliare. Era piuttosto tardi per me e mi sembrava che non potessi fare proprio niente di più. Era buio pesto. Non vedevo proprio un accidenti. Mi chinai sul viso di Carmela, le diedi un bacio sulla guancia, toccai ancora una volta i suoi seni, la ricoprii con la camicia da notte e con il lenzuolo, odorai le sue ascelle fino quasi a perdere i sensi. Lei non si mosse. Mai. Uscii, deciso a ritornare con qualche stratagemma.

La prima volta

La notte dopo. Ero calmo, freddo, preparato. Avevo lavorato tutto il giorno per la mia conquista. Al buio aspettai il segnale, immobile, determinato. Mia nonna fece pipì. Silenzio. Ero così tranquillo che neanche mi affrettai. Il tic tac della grossa sveglia sul comodino. Il respiro di tutta la casa. Mi alzai. Presi le cose che avevo preparato in una busta e, come se fosse l’azione più naturale del mondo, mi diressi verso la stanza di Carmela. Mi sentivo un leone. Tutti che dormivano e io sveglissimo al mio appuntamento con il mistero della donna. Aprii la porta. Carmela ancora si mosse, le gambe nelle lenzuola, silenzio. Un silenzio che mi sembrò vigile, d’attesa. Come era bella la mia principessa. Mi chinai su di lei. Nel buio cercai e afferrai il suo seno. E lei ancora si mosse. Rimasi nuovamente immobile, inebriato, con il cuore impazzito. Andai ai suoi piedi, dolcemente aprii le sue gambe. E Carmela ancora una volta si mosse, favorendo i miei movimenti, apparentemente ignara. Ero pronto. Salii sul letto, mettendomi in ginocchio davanti alle gambe aperte di Carmela. Estrassi dalla busta due piattini, due candele e dei fiammiferi. Misi i due piattini accanto ai due fianchi di Carmela. Accesi i fiammiferi e sciolsi prima un po' di cera e poi accesi le due candele e le misi al centro dei due piattini. Potevo finalmente vedere. Due candele al buio fanno una luce immensa. Tutta la stanza era illuminata: il letto di Carmela e lei: sdraiata, le gambe aperte, scoperte fino alle cosce. Sembrava Cenerentola: capelli sciolti, gli occhi chiusi. La fiamma delle candele illuminava perfettamente il ventre di Carmela. Ero senza fiato.
Carmela sembrava non avesse nessuna voglia di svegliarsi. Era adesso immobile come senza vita. Eppure il suo corpo caldo, bruciante sembrava tradirla. Dovevo trovare quel buco. Le sollevai lentamente la camicia da notte, terrorizzato all’idea che lei si svegliasse e si mettesse a urlare. Del resto, anche se ero il signorino, il nipote della sua padrona, trovarmi lì fra le sue cosce con due candele accese sul letto non l’avrebbe certo rassicurata. Volevo trovare quel buco. Da qualche parte doveva essere, ne avevo una specie di premonizione. Avvertivo la presenza di qualcosa di profondo e misterioso ma non sapevo assolutamente localizzarne la provenienza. Ebbi un sussulto. Quando riuscii a sollevare tutta la camicia e a scoprire il ventre di Carmela mi trovai di fronte a una specie di capigliatura. Tutto era ricoperto di peli, fino all’ombelico, se non oltre: una folta peluria nera, un mantello di pelliccia. Ero affascinato, incredulo. Mi avvicinai col naso al mantello. Controllai il respiro di Carmela, le candele, la porta. Mi avvicinai ancora di più come se volessi entrare in quel fitto bosco con la testa. Ricominciai a cercare, di nuovo negli stessi punti, ma questa volta vedevo. Tastavo tutto intorno all’ombelico ma non c’erano buchi. Istintivamente cominciai a scendere  sempre più giù come seguendo un richiamo e improvvisamente mi trovai con le dita sprofondato in qualche cosa di morbido, molle, come bagnato. Che cos’era? Non capivo. Cercai altrove premendo con l’indice dappertutto, dall’ombelico all’inguine. Niente. Quel buco non c’era. C’era solo questa strana cosa, come una bocca, umida, calda. Odorai. Era troppo intenso e strano per le mie narici. Carmela adesso si muoveva continuamente. Sembrava stesse per svegliarsi. Soltanto molti anni dopo mi divenne più facile immaginarla sveglia. Non sapevo cosa mai facessero gli uomini con le donne. Ero sicuro, sicuro accidenti che tutto avesse a che fare con quello che avevo fra le gambe. Ero sicuro che dovevo sdraiarmi adesso su Carmela e stringerla fra le braccia. Era questo ciò che dovevo fare, ne ero assolutamente certo. Facendo attenzione alle candele, che continuavano a bruciare nel buio seguendo con le fiamme ogni mio respiro, salii lentamente sul corpo di Carmela fermandomi appena il mio ventre raggiunse il suo. Sentivo i suoi peli duri pungermi la pelle glabra. Strinsi i suoi due seni fra le mie mani e rimasi immobile così non so per quanto tempo. Carmela continuava a muoversi sotto di me. Io non me ne curavo, pensavo che avesse sonni agitati, e cominciai a sbadigliare. La cera iniziava a colare in modo pericoloso. Avevo ora un sonno terribile. Mi sollevai, spensi le candele, ricoprii Carmela con la sua sottoveste e mi diressi nel bagno che era nello stesso corridoio. Feci pipì e mi sentii per la prima volta un uomo. Mi ero chiavato Carmela. Ne ero convinto. E fu quella la prima volta che credetti di fare l’amore.

La mia prima volta fu questa. Nelle scuole non esisteva l'educazione sessuale, come ancora, incredibilmente, oggi. I giovani in questi ultimi anni, per l'ipocrisia di chi ci governa, imparano dalla pornografia.

Alessandro Ippolito