Terza guerra mondiale: ci siamo?

Mancano 89 secondi alla fine del mondo. Ce lo segnala il Doomsday Clock, l’Orologio dell’Apocalisse. Insomma ci siamo: Terza Guerra Mondiale ed è finita. Chi l’avrebbe mai detto? La nostra sedicente civiltà, con tutti i suoi musei, tutte le sue biblioteche, tutte le sue opere d’arte, tutte quelle belle invenzioni, tutto il progresso della medicina, tutto il buono il bello e il meglio del mondo, insieme a tutti noi apatici creduloni ignoranti saremo prima arrostiti e poi ci trasformeremo in polvere radioattiva. Fine dell’umanità. Non meritiamo altro. Del resto dove sta questa umanità? Io la vedo solo nel meraviglioso mondo degli animali. I Terrestri dovevano maturare ancora molto per meritarsi questo pianeta. La bramosia di potere ci stermina e il fatto che evaporino anche tutti quelli che sono la causa di questo orrore non è certo di consolazione. Eppure...

L’Orologio dell’Apocalisse

Guardiamo un po' meglio questi dati. Innanzitutto il Doomsday Clock è partito nel 1947, ironia della sorte nel Paese più guerrafondaio del mondo: gli Stati Uniti. In quell’anno infatti un gruppo di accreditati scienziati atomici sulla base di fattori scientifici, geopolitici e tecnologici, supportati ancora oggi da esperti, premi Nobel e analisti globali, fece nascere a Chicago il Bulletin of the Atomic Scientists.  in cui si “calcolava” (non “si prevedeva”) quanto tempo mancava all’umanità per la sua autodistruzione globale.
Nel 1947 l’orologio fu impostato a 7 minuti dalla fine. Trascorsi quei 7 minuti, a  "mezzanotte" dunque, l’insieme di guerre nucleari, collassi climatici, pandemie incontrollate, intelligenze artificiali fuori controllo, porterebbe la Terra e i suoi abitanti sul baratro dell’estinzione.

Ribelliamoci protestiamo difendiamoci, ora dipende solo da noi

Ma adesso a che punto siamo esattamente? Partiti alle 23:53:00 ora siamo alle 23:58:31. Incredibile? No, no e ancora no. Non è incredibile per niente. La “pace” che c’è stata dalla fine della Seconda Guerra Mondiale a oggi non è stata per niente una pace. Non sono uno storico né un analista ma a memoria ci sono state guerre in Corea, Vietnam, Guerre arabo-israeliane, Iran-Iraq, Russia-Afghanistan,  Guerra del Golfo, Guerre jugoslave, USA-Afghanistan, Iraq, Primavere arabe e guerre civili (Siria, Libia, Yemen). Senza contare decine di guerre civili o conflitti armati in Africa, Asia, Medio Oriente e Sud America. Non è finita: dovrei ancora includere centinaia di conflitti nel mondo, scontri armati, guerre civili, conflitti per il territorio...
E oggi?
Per continuare questa bella abitudine di scannarci per il potere e per il denaro, è stato calcolato che abbiamo la bellezza (si fa per dire) di 56 conflitti attivi, fra cui: Myanmar, Yemen, Sudan, Etiopia, Congo, Sahel, Somalia, Haiti. India Pakistan. E a incorniciare il tutto, abbiamo questa interminabile guerra Russia-Ucraina. Grazie poi all’attivissimo primo ministro israeliano, che ha aperto fronti dappertutto, abbiamo un genocidio in corso in Palestina e un attacco all’Iran perché sembra che abbia ormai pronta una bomba atomica. Anche se lo sembra soltanto e in trent'anni non ne hanno mai avuto prova. Infine, quel bullo scellerato di Trump ieri notte ha preso i suoi “guerrieri” e ha bombardato i siti nucleari dell’Iran. Che grande uomo! Che stratega. Oggi ha detto: e adesso pensiamo alla pace. Certo, sicuro. Mi sa che quegli 89 secondi sono diminuiti ancora. Che facciamo, accettiamo tutto questo? Ci rassegniamo? Guardiamo i nostri figli e gli diciamo, scusateci, ci dispiace?
E voi, figli, che fate, continuate a chattare, occhi bassi sui cellulari? No, basta, bisogna reagire seriamente. Come? Ve l’ho già detto, siamo miliardi di persone. Se ognuno di noi fa anche un piccolissimo gesto di opposizione possiamo fermare le lancette di quell’orologio. Il Bollettino ogni volta che ci indica i suoi calcoli relativi al rischio di guerra nucleare, ai conflitti internazionali e alle tensioni tra superpotenze, alla crisi climatica, alle tecnologie emergenti non regolamentate (IA, bioarmi, cybersicurezza), alle pandemie globali, alla instabilità politica mondiale, continua comunque, instancabilmente, a ripeterci: “L’orologio non è destino, ma un allarme: possiamo ancora cambiare rotta”.

Alessandro Ippolito